Il Lago

L'origine del lago Biviere

Nell’era geologica del Pleistocene si verificò un generale sollevamento dell’area, fino all’emersione, per cui, in seguito il torrente Valle Torta-Monacella non fu più in grado di contrastare la formazione di cordoni dunali da parte di mare e vento, e, quindi, di raggiungere il mare. Data la sua origine è probabile che, nelle prome fasi della sua formazione, il lago abbia avuto un rapporto di scambio con il mare, tipico di ambienti lagunari e costieri. Questa relazione è andata progressivamente scomparendo con il procedere dell’evoluzione dell’area fino al raggiungimento dell’attuale equilibrio tra lago, falda idrica sottostante e mare.
Attualmente il lago dista dalla costa circa 1,3 Km ed è separato da essa da un ampio sistema di dune, note come “Macconi”, di cui oggi resta ben poco. La sua estensione attuale, riferita allo specchio d’acqua è di 0,76 Kmq (contro una superficie originaria di 0,84 Kmq) ha uno sviluppo longitudinale nella direzione ovest-est, con una lunghezza massima di circa 2,5 Km e una larghezza media di 0,6 Km. Il suo perimetro è caratterizzato da numerose anse.

La Storia

Le notizie sul Lago sono molte antiche.
Lo si trova citato da diversi storici come Plinio il Vecchio che faceva notare come il sale che si formava negli argini era così splendente da riflettere le immagini come gli specchi. Caius Iulius Solino (metà III sec.d.C.) ci racconta che nei pressi del Lago vi erano due sorgenti d’acqua prodigiose: l’una rendeva le donne sterili, l’altra produceva effetti contrari. In epoca medievale ne parla il Fazello che volle identificarlo con il mitico lago Coccanico.
In quel periodo il Lago era sfruttato come salina, infatti venne inclusa nel 1274 tra le saline delle “Segrezie di Sicilia”. Data la preponderante concorrenza e competizione con le altre saline siciliane e sarde questa attività venne progressivamente abbandonata. Un grande progetto di trasformazione della salina in biviere si fa risalire al 1582. Nel 1598 il lago venne venduto da Giovanni di Guccio, nobile abitante di Terranova, al Duca Don Giovanni, sappiamo solo che, nel 1619, fece fabbricare un fondaco ed alcune case in una delle quali venne murata una lapide di marmo, ancora esistente, per ricordare la data di realizzazione dell’opera. Cessata l’attività della salina, iniziò sin dal 1615, quella della pesca concessa in gabella. Per contratto il governatore dovette, a spese del feudatario, realizzare una casa utilizzata come ricovero per i pescatori e per le persone che venivano a comprare il pesce , e una cappella per celebrare la messa.
Il lago, ricco di pesce e di uccelli acquatici, attirò per secoli appassionati cacciatori ed amanti della pesca. Fra i più illustri citiamo Don Alessandro Mallia Paternò, marchese di Torreforte (1810 – 1870), medico e botanico venuto al Biviere per la caccia alle folaghe ed alle anatre selvatiche, e il Ministro Camillo Benso Conte di Cavour dal quale, in segno di amicizia, ricevette un mantello. La storia più recente vede il Lago, all’inizio anni ’70 oggetto di interventi da parte del Consorzio di Bonifica che per soddisfare i bisogni irrigui delle campagne, ha modificato i volumi idrici, turbando i delicati equilibri che caratterizzano le zone umide.

Fauna

La più importante ricchezza naturalistica della Riserva è rappresentata dall’avifauna che nel lago trova luogo di nidificazione, sosta e nutrimento e un clima mite dove potere trascorrere il lungo inverno prima di ritornare nel Nord Europa.

Le Anatre
Sono tra le più assidue frequentatatrici.
Fra le anatre di superficie (vengono chiamate così quelle che raccolgono il cibo dalla superficie dell’acqua) è facile osservare il Fischione, con il capo fulvo su cui spicca la fronte giallo vivo e riconoscibile anche dal lungo e potente fischio; il Codone, dalla lunga coda a punta o, ancora, il Mestolone, dai fianchi castano scuro, il capo verde bottiglia e dal curioso becco a cucchiaio. Fra le anatre tuffatrici (che invece si immergono completamente per cercare cibo sul fondo) la più comune è il Moriglione, con il corpo grigio e la testa rosso ruggine. La più numerosa è la Marzaiola, dalla vistosa striscia bianca sul capo;la più rara è la Moretta tabaccata, color ruggine con il caratteristico sottocoda bianco: è una delle quattro specie italiane maggiormente minacciate di estinzione.

I Limicoli
Numerosi i limicoli: uccelli che si nutrono di insetti, larve e molluschi che trovano nel fango e caratterizzati da zampe e becchi molto particolari. Il più conosciuto è il Cavaliere d’Italia, dal piumaggio bianco e nero con lunghissime zampe rosse. Detengono il record del becco più lungo la Pittima reale, che in estate sfoggia un bel petto castano e, in particolare, il Chiurlo, dal becco molto lungo curvato verso il basso. I becchi più brevi sono invece quelli del Corriere piccolo, dall’inconfondibile “bavaglino” nero e dall’occhio giallo vivo e del simile Fratino.

Gli Aironi
Lungo le sponde del lago o tra il canneto, è facile osservare gli Aironi. L’Airone cenerino, il più comune, ha il piumaggio grigio pallido. Il raro Airone rosso è più piccolo e ha il piumaggio rossiccio. Il più grande è L’Airone bianco maggiore, dal piumaggio candido e dal becco giallo. Frequente l’incontro con la Garzetta, simile al precedente ma più piccola e dal becco scuro, o con la Sgarza ciuffetto, dal piumaggio color cannella. Difficile osservare specie più discrete quali il Tarabuso, che per il suo piumaggio mimetico è indistinguibile nel folto del canneto, e la piccola Nitticora,dalle abitudine notturne.

Mignattai e Spatole
Maggiori sono le possibilità di osservare il raro Mignattaio, dal becco ricurvo e dal colore scuro con riflessi metallici, che, a causa della particolare concentrazione che qui raggiunge, è diventato il simbolo della Riserva. Da segnalare anche la bianca Spatola, dal becco piatto e arrotondato.

I Rapaci
Non è raro osservare un rapace che volteggia leggero, è il Falco di palude che perlustra l’area in cerca di prede. Frequentano il Lago il Gheppio, piccolo falco dalle ali appuntite e dalla lunga coda e la Poiana, molto più grande e tozza. In autunno e in primavera è possibile osservare il raro Falco pescatore, dalla testa e ventre bianco.

I Passeriformi
Il boschetto di tamerici è il regno del piccolo Pendolino, dal dorso color ruggine e dalla caratteristica “mascherina” nera sugli occhi, che su questi arbusti costruisce il suo singolare nido a forma di fiasco. Colorata e festosa la presenza estiva dei Gruccioni, dalla gola gialla e dal petto verde blu, che, in colonie, nidificano sulle pareti di arenaria intorno allo specchio d’acqua. Un lampo azzurro che sfreccia a poca altezza dall’acqua: è il Martin pescatore. Tutto l’anno è visibile l’Upupa, con disegno delle ali bianco e nero e cresta erettile a ventaglio: è il simbolo della LIPU.

I Mammiferi
Intorno al Lago trovano spazio vitale mammiferi quali la Volpe, il Coniglio selvatico, la Donnola, l’Istrice e il Riccio, specie che per il carattere elusivo e le abitudini notturne, si possono incontrare solo al crepuscolo o alle prime luci del mattino.

Rettili e Anfibi
Tra i serpenti troviamo il Biacco, presente nella forma melanica (completamente nera), la Natrice dal collare, che si osserva spesso nuotare sull’acqua, ed il raro Colubro leopardiano, caratterizzato da maculature variabili dal bruno al rosso. Fra i sauri la Lucertola siciliana, la Lucertola campestre e il Ramarro dalla evidente gola blu; e poi i sempre più rari Gongolo dal collo e dalle zampe tozze. Tra gli anfibi il Discoglosso, una rara e piccola rana, e il Rospo smeraldino.

Gli Invertebrati
Numerosi gli insetti fra cui spiccano le libellule, con specie rare quali la Brachythemis leucosticta, specie tipicamente nordafricana osservabile da giugno fino alla fine di ottobre. Fra le farfalle da segnalare la presenza in settembre – ottobre della Monarca africana, color arancio con macchie nere e bianche.

Flora e vegetazione

Nonostante sia stato sottoposto a diversi interventi umani, il lago conserva il suo valore naturalistico con acque aperte, acque basse con vegetazione sommersa, folti canneti inframmezzati da scirpi, giunchi e tife, boschetti di tamerici e prati umidi.
La vegetazione lacustre è caratterizzata da piante sommerse quali Potamogeton pectinatus e Ceratophyllum demersum e da piante ripariali quali Scirpus maritimus e lacustre, nonché Pharagmites communis in quei luoghi che per alcuni periodi dell’anno si prosciugano. In primavera nei prati e negli incolti fioriscono colorate multiformi orchidee selvatiche fra cui la rara Ophrys oxyrrhynchos, endemismo siciliano, mentre si sprigionano nell’aria gli intensi profumi del Timo e del Rosmarino selvatico.
Le residue zone dunose sono invece il regno della Ginestra bianca, sottospecie endemica delle zone marittime della Sicilia meridionale e del Fiordaliso delle spiagge. Nello stesso ambiente sopravvive la rarissima Leopoldia gussonei, specie endemica presente, nel mondo, unicamente in alcune circoscritte aree del litorale del Golfo di Gela. Queste formazioni vegetali risultano particolarmente importanti come rifugio, l’alimentazione e per la nidificazione di numerosi uccelli acquatici ed altra fauna selvatica.

Cos'è una Zona Umida

In passato le zone umide erano considerate luoghi malsani, in quanto portatrici di malaria e altre malattie infettive. Per secoli nell’immaginario collettivo, le paludi e gli stagni hanno rappresentato per l’uomo quanto di più desolante e negativo ci possa essere. Questa è ancora l’immagine tradizionale che sopravvive tutt’oggi nella maggioranza delle persone. Chi ha invece vissuto in prima persona l’esperienza di una zona umida, vi parlerà del volo improvviso di un airone dal canneto, del volo di uno stormo di anatre, di un brulicare di vita come in pochi altri ambienti naturali. Cos’è obiettivamente una zona umida? Il termine zona umida è molto ampio e comprende una vastissima varietà di ambienti che secondo la definizione data dalla Convenzione di Ramsar per la protezione e la conservazione di queste zone, raggruppa: “aree palustri, acquitrinose, morbose o comunque specchi d’acqua, naturali o artificiali, permanenti o temporanei con acqua ferma o corrente, salmastra o salata, compresi i tratti di mare, la cui profondità non eccede i sei metri con la bassa marea”. Luoghi quindi, dove si stabilisce un connubio speciale fra la terra e l’acqua. L’unione fra i due elementi genera ambienti unici ed irripetibili, fragili e ricchissimi, affascinanti e sconosciuti, da avvicinare con molta discrezione, conoscere, amare e proteggere. C’è stato sempre un rapporto privilegiato fra l’uomo e gli ambienti umidi.

Le zone umide e l'uomo

Esemplare in questo senso è stata la civiltà egizia, sviluppatasi sul delta del Nilo e che utilizzò per millenni le piene del fiume, principale risorsa. Le popolazioni locali vi erano attirate dall’abbondanza di pesce, selvaggina, vegetazione e dalla grande disponibilità d’acqua che permetteva di coltivare periodicamente i terreni inondati e di far pascolare liberamente nelle praterie il bestiame nelle praterie. Attività tradizionali quali la pesca o la pastorizia vengono ancora oggi praticate con successo sul Nilo, come d’altronde avviene in tante altre zone umide del mondo. Questi ambienti sono importantissimi per l’uomo sia dal punto di vista biologico (le zone umide sono fra gli ecosistemi più ricchi di vita in assoluto, secondi per produttività solo alle foreste tropicali, che economico e sociale. Hanno inoltre un rilevante ruolo ecologico di cui l’uomo raccoglie quotidianamente i benefici. Funzioni quali: controllo delle piante, purificazione delle acque, stabilizzazione delle coste, controllo dell’attività erosiva, trattenimento di sedimenti ed inquinanti e stabilizzazione del microclima sono alcuni dei vantaggi che le zone umide forniscono all’uomo.

Conservazione e gestione

Nonostante ciò l’uomo si è per secoli impegnato a migliorare, bonificare, rendere coltivabili ed eventualmente abitabili tali zone. È successo cosi’ che i due terzi delle zone umide europee sono ormai scomparse. Attività come l’acqua coltura intensiva, le arginature e le bonifiche a fini agricoli, costituiscono poi una continua minaccia per la sopravvivenza di molte zone umide. In questi ultimi anni si assiste ad una inversione di questa tendenza; questi ambienti vengono ripristinati per potere realizzare le importanti funzioni da esse svolte. Sempre più si va affermando la convinzione di conservare queste aree per gestirle in maniera tale da preservarne le caratteristiche naturali. Per fare ciò è necessaria strategia internazionale che definisca una te di aree protette e lo sviluppo di una legislazione ed altri strumenti amministrativi che ne controllino l’uso da parte dell’uomo.

La Convenzione di Ramsar

Ogni zona umida è un “sistema aperto” dipendente da molteplici fattori esterni ed interni. Se poi pensiamo agli uccelli o ai pesci che durante il loro ciclo vitale frequentano molte zone umide, ci rendiconto conto che questi ambienti assumono un valore reale se collegati ad una rete internazionale. Per cui per proteggere gli uccelli, i pesci e l’intera biodiversità che li caratterizza non è sufficiente conservare un numero limitato di aree. Un corretto approccio alla conservazione e protezione delle zone umide l’obiettivo della Convenzione internazionale di Ramsar, firmata nel 1971 nella località iraniana da cui prende il nome. Più di 80 paesi, distribuiti in ogni regione del mondo hanno firmato e ratificato la Convenzione ed in Europa sono oltre 360 le zone riconosciute di importanza internazionale (Zona Ramsar ). Anche l’Italia è fra i paesi firmatari e fino ad oggi ha individuato 47 zone Ramsar per un’area complessiva di 70.000 ha (lo 0.2% del territorio nazionale).

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